Leggo questo interessante intervento sul blog JOEPUBLIC del Guardian. E' scritto da Frances Booth, giornalista responsabile per società, salute ed educazione del quotidiano The Guardian. Ecco la traduzione.
"You are free to write" (tu sei libero di scrivere) è l'oggetto della mail che spicca sulle altre nella posta in arrivo. Aprendola il messaggio continua: "Others have not been so lucky" (altri non sono così fortunati). L'e-mail è un invito a partecipare al progetto che racconta i 50 anni dell'International PEN Writers in Prison Committee (WiPC). Decidere di partecipare mi fa pensare, correttamente per la prima volta, alla libertà di scrittura che ho dato per scontata ogni giorno. Dal 1960, il PEN WiPC, è dalla parte degli scrittori che sono stati minacciati, imprigionati, oppressi per il loro lavoro. Fra i più famosi Wole Soyinka, Vaclav Havel e Salman Rushdie, che hanno dovuto pesare le loro parole nella paura.
Il Comitato si è formato in occasione di un incontro, organizzato da PEN (un'organizzazione internazionale che promuove la letteratura e difende la libertà di espressione) a Rio de Janeiro, dopo che alcuni ricercatori avevano passato in lista i nomi di 56 scrittori imprigionati in Albania, Cecoslovacchia, Ungheria e Romania. L'organizzazione PEN, grazie ai suoi centri, comincia a diffondersi in molti paesi, nei quali gli scrittori erano stati imprigionati a causa della loro parola o dei loro scritti. Dopo 50 anni, esistono più di 70 centri nel mondo che insieme danno supporto a circa 900 fra scrittori, editori e giornalisti perseguitati ogni anno.
Per rimarcare 50 anni di difesa in nome della libertà di espressione, il Comitato PEN Writers in Prison ha creato una campagna annuale: Because Writers Speak Their Mind. Un filone di questa campagna mette in evidenza i casi di 50 scrittori per cui PEN si è mossa nei 50 anni in cui il Comitato ha operato.
Ognuno degli scrittori oppressi è stato abbinato ad uno scrittore che fa parte di writing group 26 (un gruppo variegato di persone che condividono l'amore per la parola), del quale sono anch'io membro. Il compito? Scrivere 50 parole , non una di più non una di meno, ispirandosi alla vita e al lavoro dello scrittore. Gli scritti sono messi online ogni giorno, dall'inizio e durante il Free The Word! Festival, che si svolge fra il 14 eil 18 aprile.
Non tutti i protagonisti sono ancora in vita. Lo scrittore di cui mi sono occupata era un giornalista turco-armeno e si chiamava Hrant Dink. Dink è stato colpito a morte nel gennaio 2007 fuori dalla redazione del suo giornale Agos, un quotidiano bilingue armeno e turco. Era uno fra i molti scrittori di alto profilo, accusati dall'articoli 301 del Codice Penale di aver insultato "l'essere turco" nei suoi scritti. Aveva ricevuto numerose minacce.
Che cosa si può dire in 50 parole? Non molto. Ma 50 parole al giorno per 50 giorni, potranno, si spera, sottolineare la libertà spesso data per scontata e la libertà persa.
Alcuni degli scrittori che il Comitato negli anni ha supportato saranno celebrati in occasione del 50°Anniversario del Comitato PEN Writers in Prison, il 16 aprile presso la London School of Economics.
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