Ecco la traduzione di un interessante articolo tratto da Huffingtonpost.com che racconta la Tunisia in rivolta e il giornalismo. Spiega come i social network siano l'elemento chiave dell'aggregazione e dei movimenti e della diffusione delle informazioni, uniti alla volontà delle persone.
Come gli utenti di Facebook cambieranno le redazioni
di Romina Riuz-Goiriena (14 gennaio 2010)
(Giornalista attualmente risiede a Parigi, Francia)
Quando in migliaia, da Tehran, si collegarono alla rete per protestare contro i risultati delle elezioni presidenziali dell’estate del 2009, il primo istinto dei media occidentali tradizionali fu quello di girarsi dall’altra parte e chiudere gli occhi. Non passarono molti giorni quando un numero enorme di attivisti e studenti stavano muovendosi con decisione attraverso Twitter e realtà come la CNN infine compresero che seguire quel fenomeno valeva probabilmente parte del loro tempo. Sfortunatamente dopo che ogni cosa era stata detta e fatta, molti fra i miei amici giornalisti nelle redazioni in tutto il mondo conclusero che la protesta di Tehran via Twitter rappresentasse un episodio isolato – fino ad ora. Dopo settimane di malcontento e disordini in Tunisia, visibili solo attraverso video pubblicati su Facebook, sembra che la nostra apprensione psicologica di dipendere da un social network come fonte alla fine si placherà.
“Circa 3.6 milioni di tunisini sono online. La maggioranza di queste manifestazioni, inclusa quella davanti al palazzo del presidente Ben Ali oggi è stata organizzata attraverso Facebook” raccontava Philip Rochot in diretta da Tunis on Radio Inter, minuti dopo il Primo Ministro Mohamed Ghannounchi annunciava di aver preso l’incarico della presidenza ad interim del paese.
La censura dei media aveva a lungo giocato un ruolo chiave nei 23 anni in cui alla guida del paese nordafricano vi era Zine El Abidine Ben Ali. Siti di condivisione video erano vietati in Tunisia fino a giovedì quando Ben Ali ha annunciato “Al Jazeera, YouTube, Dailymontion, Takriz saranno accessibili a tutti”. Lo scopo del discorso televisivo era quello di calmare i giovani tunisini. Ciò che non aveva realizzato era che l’altro sito: Facebook.com – a cui non aveva posto freno - era il principale colpevole.
Reti massimizzate
Settimane prima, Wikileaks aveva rilevato il vasto potere del regime di Ben Ali. Comunque, Mukhtar Trifi, a capo di Tunisian League for the Defence of Human Rights spiegava che sebbene paura e repressione erano dilaganti, Facebook forniva un’apertura a molti disoccupati e giovani tunisini. “Era qualcosa che tutti sapevamo ma semplicemente non se ne parlava… ancora, un tunisino su dieci ha un account su Facebook”.
Mentre il rovesciamento del governo di Ben Ali non sarebbe stato possibile senza il sostegno dell’esercito, i tunisini dispiegavano video amatoriali della repressione della polizia, infiammando squadre e sommosse sui loro profili personali dalle loro case o dagli internet cafè.
“Punto chiave è che molti tunisini hanno famiglia e amici fuori dal paese, moltidi loro in Francia e in Europa. Questo significa che appena un video veniva inserito sul loro profilo, era automaticamente sulle ultime notizie di tutti gli amici e mebri della famiglia rendendo il controllo di Ben Ali impossibile” sottolinea Rochot in radio.
Creando un giornalismo responsabile
Per i giornalisti, la questione è sempre di come assicurare credibilità e responsabilità specialmente riguardo a una storia che vive solo attraverso video postati su social network. Firas Al-Atraqchi, professore di giornalismo all’Università americana del Cairo, scrive che per le prime due settimane “I filmati di Al Jazeera e France24 erano esclusivamente forniti da utenti tunisini dei social network”.
Imed Ben Said, giornalista multimediale per il servizio online arabo di France24, ha sviscerato tutti i filmati con i suoi occhi. Nato in Tunisia, aveva 6 anni quando Ben Ali prese il potere e non avrebbe mai pensato di veder finire il regime. Quando alcuni fra i suoi amici e famigliari iniziarono a postare video e messaggi su Facebook, egli fece in modo di trasmettere le informazioni di prima mano e assicurarle ai canali Tv e web, in modo che essi avessero immagini direttamente dalle persone che per prime erano testimoni degli eventi e del loro svolgersi.
“Prima le persone hanno postato in blog anonimamente, più tardi ihanno inizato a farlo direttamente sui loro profili” racconta Ben Said. “Abbiamo fatto il download delle loro immagini e video. In modo da verificare i fatti, iniziammo per essere sicuri che le stesse informazioni sarebbero state ripetute da differenti fonti, specialmente quelle che non si conoscevano fra loro”, spiega.
Per Ben Said, Facebook è stata la prima fonte di breaking news durante le sommosse e questo ha permesso a lui di conseguenza di far circolare le informazioni con una vasta copertura attraverso France24. Sapeva comunque che proprio perché era su Facebook, doveva passare attraverso un abbastanza difficile processo di verifica dei fatti. “Dopo la prima ondata di resoconti, avremmo dovuto confermare le informazioni attraverso interviste telefoniche e dimostrazioni da diverse ONG e fonti ufficiali”, chiarisce.
Ben Said spiega che la Tunisia è solo il primo di molti paesi in cui i giovani stanno scegliendo di usare Facebook e Twitter per organizzare proteste dopo anni di silenzio. “Abbiamo visto che Facebook è già diffuso in Algeria e Mauritania e con le elezioni che ci saranno il prossimo anno in Egitto, i governi autoritari sanno che queste proteste virtuali potrebbero essere replicate nelle loro strade”.
Ben Said ripete che le redazioni hanno la responsabilità di monitorare tali siti. Ha affermato “i social network online non possono essere controllati. Una volta che l’informazione è là fuori, chiunque può avere accesso ad essa e non possiamo permetterci di ignorarlo”.
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